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Soggetti apicali e soggetti subordinati nella disciplina della responsabilità degli enti

Grazie al decreto legislativo 231/2001, avente forza di legge dal 4 luglio 2001, che fissa i principi e criteri in materia di attribuzione della responsabilità amministrativa “delle persone giuridiche, società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica”, anche le imprese possono commettere reati attraverso le persone fisiche che compongono la struttura aziendale.

Le disposizioni previste da questa normativa hanno introdotto nell’ordinamento italiano un nuovo modello di responsabilità, derivato dal sistema dei compliance programs statunitensi, in parte affine all’ambito del diritto penale.

Si tratta della responsabilità dell’ente/impresa, di fatto una responsabilità penale, che scatta nel caso in cui vengano commessi reati nel suo interesse o a suo vantaggio. Tale responsabilità è autonoma e aggiuntiva rispetto a quella personale degli autori del reato commesso, che subiranno comunque un autonomo procedimento penale, e prevede l’applicazione di sanzioni pecuniarie e interdittive all’azienda, in qualità di entità giuridica autonoma.

Qual è la persona fisica che può commettere il reato?

Chiaramente un’azienda non può commettere illeciti, né tantomeno essere chiamata a risponderne in tribunale, se non attraverso una persona fisica, e quindi il D.lgs. 231/2001 provvede a identificarla, distinguendo per la precisione i componenti dell’organizzazione aziendale in due gruppi, noti come soggetti apicali e soggetti subordinati.

In base all’art.5 comma 1 lettera a), sono da intendersi soggetti apicali tutti coloro che operano ai vertici dell’organizzazione: i soggetti che “rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione dell’ente o di una sua unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria e funzionale”, come gli amministratori, i componenti del consiglio di gestione o i membri del comitato esecutivo (a seconda della corporate governance) e il dirigente; ma anche le “persone che esercitano, anche di fatto, la gestione e il controllo della stessa”, vale a dire i soggetti che, anche soltanto di fatto, esercitano il dominio dell’ente e quelli che lo esercitano per delega. Tali disposizioni si aggiungono a quanto già previsto dall’art. 18 del Codice civile a proposito della responsabilità degli amministratori nei confronti dell’ente.

L’art. 5 comma 1 lettera b) della stessa norma definisce i soggetti subordinati, e li qualifica come coloro che sono sottoposti “alla direzione o alla vigilanza di uno dei soggetti di cui alla lettera a)”: in altre parole si tratterà di procuratori, lavoratori dipendenti e parasubordinati, insomma tutti coloro che svolgono un’attività soggetta alla direzione del datore di lavoro. Diversamente, per valutare il coinvolgimento dei soggetti esterni che forniscono consulenza alla società, come agenti, franchisee e fornitori, si dovrà considerare l’effettivo svolgimento di mansioni aziendali sotto la direzione o il controllo dei soggetti apicali.

L’ente ha la possibilità di rispondere soltanto penalmente, e non amministrativamente, in base a determinate condizioni, che cambiano a seconda che la violazione sia stata commessa da un soggetto subordinato o apicale; in ogni caso il criterio che regola l’applicazione di queste categorie è elastico, vale a dire che non è incentrato sulla sola qualifica formale, ma sull’analisi delle attività di effettiva competenza del soggetto a cui sono stati imputati i presupposti reati.

Quando scatta la responsabilità amministrativa dell’ente?

La responsabilità amministrativa scatta nel caso in cui i presupposti reati siano stati commessi nell’interesse o a vantaggio dell’ente. Nel tempo, la giurisprudenza e la dottrina hanno chiarito che i due termini non sono sinonimi: infatti il primo si applica nel caso in cui, valutando la violazione prima del suo compimento, si riscontri che questa è stata compiuta allo scopo di recare beneficio all’ente; il secondo, invece, si applica nei casi in cui, valutando la violazione dopo il suo compimento, si giunga alla conclusione che è stata compiuta per recare profitto all’ente.

Quali sono i reati indicati nel D.lgs 231/2002 e quali le sanzioni previste?

Le violazioni delle norme del Codice penale che implicano la responsabilità dell’ente (opportunamente elencate agli artt. 24 e seguenti del decreto) possono essere inquadrate in queste categorie:

  • omicidio e lesioni colpose (infortuni sul lavoro), causati dalla violazione delle norme che tutelano la salute e la sicurezza dei lavoratori;
  • reati contro la pubblica amministrazione;
  • reati societari;
  • delitti di criminalità organizzata;
  • reati con finalità di terrorismo;
  • reati ambientali;
  • delitti contro l’industria e il commercio;
  • delitti informatici;
  • reati di ricettazione, riciclaggio, autoriciclaggio e impiego di denaro, beni o altre utilità di provenienza illecita;
  • impiego di lavoratori stranieri con soggiorno irregolare, o senza regolare contratto.

Quando il pubblico ministero viene informato dell’illecito amministrativo, annota nel registro di cui all’art. 335 del Codice penale i dati identificativi dell’ente. Se, espletato il giudizio di rito, la responsabilità viene acclarata, vengono applicate le sanzioni previste dalla legge in caso di commissione di questi reati, ed elencate nella Sezione II del sopraccitato decreto (artt. da 9 a 23).

Queste sanzioni possono essere di natura pecuniaria, o interdittiva, e, nel secondo caso, possono comportare:

  • l’interdizione dall’esercizio dell’attività;
  • la sospensione di autorizzazioni, licenze o concessioni connesse all’illecito;
  • il divieto di contrattare con la Pubblica Amministrazione;
  • divieto di pubblicizzare beni o servizi;
  • confisca del prezzo o del profitto ottenuto con il reato;
  • pubblicazione delle sentenze di condanna emesse dal giudice.

Il modello organizzativo 231: è obbligatorio?

Posto che con il Modello di organizzazione e gestione (o “modello ex. D.lgs. 231/2001”) il legislatore ha inteso prevenire la commissione di reati particolarmente diffusi nelle imprese, la sua predisposizione non costituisce un obbligo di legge, ma un onere per l’ente che intenda avvalersi dell’esimente, in previsione dei rischi derivanti dalla commissione di un qualche reato al suo interno.

Predisponendo questo modello, l’ente ha facoltà di non rispondere dei reati che vengono commessi dai suoi subordinati o dai suoi apicali, aggirando le sue prescrizioni.

Predisposizione dei modelli organizzativi

Sulla base delle prescrizioni contenute nel D.lgs. 231/2001 e delle indicazioni delle principali associazioni di categoria, sono previste 4 fasi:

  1. esame approfondito del contesto aziendale, allo scopo di individuare in quali aree, uffici, o in quale processo aziendale possano essere commessi fatti penalmente rilevanti;
  2. individuazione delle aree maggiormente esposte al rischio di commissione dei reati;
  3. esame dei sistemi che regolano i controlli interni, delle procedure e dei protocolli esistenti, e valutazione allo scopo di definire quelli più adeguati;
  4. introduzione di un sistema disciplinare che sanzioni il mancato rispetto delle misure indicate nel Modello;
  5. istituzione di un organismo di sorveglianza con il compito di vigilare il funzionamento e l’osservanza del Modello.

Composizione dei modelli organizzativi

Affinché risponda ai requisiti di idoneità, efficacia e adeguatezza stabiliti nel decreto, la documentazione dei modelli organizzativi deve prevedere almeno due parti. Le descriviamo qui di seguito:

  • la parte generale, oltre ad alcuni cenni sulla disciplina prevista dal D.lgs. 231/2001, deve contenere una descrizione della struttura dell’organizzazione dell’ente, l’indicazione dell’Organismo di Vigilanza; il sistema di comunicazione del Modello al personale (ad esempio, tramite informativa) e della sua formazione; il sistema disciplinare per i casi di violazione del Modello e delle procedure Questa sezione dovrà, inoltre, contenere il Codice Etico sui principi morali, i diritti e doveri che devono regolare il comportamento di tutti i soggetti che partecipano all’organizzazione aziendale;
  • la parte speciale, articolata in sezioni corrispondenti ai tipi di reato che si ritiene potrebbero essere commessi in azienda, deve contenere un elenco di regole, obblighi e divieti, che i destinatari devono osservare, insieme a un elenco completo delle procedure da rispettare per la prevenzione dei reati segnalati nel D.lgs. 231/2001.

Come specificato nel decreto, perché l’ente possa usufruire dell’esimente, l’organo dirigente dovrà aver attutato in maniera efficace “i modelli di organizzazione e gestione idonei a prevenire i reati.

La nostra azienda offre un servizio di consulenza 231 modello organizzativo, supportando le imprese nell’adozione e implementazione del modello previsto dal D.Lgs. 231/01. I nostri esperti assicurano la conformità alle normative, riducendo i rischi di responsabilità amministrativa e garantendo una gestione efficace delle procedure aziendali.