Quali sono le norme che regolano il congedo parentale?
L’Italia è stata sempre all’avanguardia per la concessione di congedi parentali, la prima legge in materia risale al 1971, ma era riservata solo alle donne.
L’opportunità data agli uomini dalla legge n. 53 del 2000 di poter usufruire di un congedo parentale, o per formazione, non è finora stata molto sfruttata e pochi padri, alla nascita di un figlio, si sono concessi una pausa lavorativa.
Nel 2004, nel settore pubblico solo il 2% dei padri ha usufruito del congedo, mentre in quello privato il dato si è fermato alla 0,5%. La situazione è molto diversa in Francia, dove il 75% dei padri ha usufruito della “paternità”.
Secondo Confindustria è fondamentale considerare l’aspetto culturale della vicenda, c’è scarsa attitudine dei padri all’utilizzo del congedo e inoltre le madri tendono a circoscrivere il loro ruolo. Infatti i padri possono stare a casa, in alternativa alla madre, per sette mesi con una retribuzione entro i tre anni di vita del nascituro al 30% e senza retribuzione fino agli otto anni.
Oltre al freno culturale, si deve considerare che mediamente gli stipendi dei padri sono più alti di quelli delle madri, e quindi la riduzione al 30% incide notevolmente sui bilanci famigliari inoltre, solitamente, gli uomini sono proiettati verso la carriera e preferiscono evitare interruzioni; il congedo è un diritto, ma il rientro può essere difficile.
Esiste anche un congedo per formazione, ma il suo utilizzo è talmente scarso che non viene neppure monitorato. Questo congedo prevede un distacco dal lavoro di 11 mesi in cui però non si è retribuiti mentre talvolta all’estero, per questo anno sabbatico, le aziende sono disponibili a fornire anche un supporto economico.
Il problema reale è però dato dai profondi cambiamenti riguardo alle normative sul lavoro degli ultimi anni, che rendono ormai anacronistica la legge n. 53/2000 che deve essere quindi necessariamente revisionata.