La Legionella: la gestione del rischio e la prevenzione
“Legionellosi” è la definizione di tutte le forme morbose causate da batteri gram-negativi aerobi del genere Legionella. Essa si può manifestare sia in forma di polmonite, sia in forma febbrile extrapolmonare o in forma subclinica. La specie più frequentemente coinvolta in casi umani è la Legionella Pneumophila anche se altre specie sono state isolate da pazienti con polmonite.
L’unico serbatoio naturale di Legionella è l’ambiente. Dal serbatoio naturale (ambienti lacustri, corsi d’acqua, acque termali, ecc.) il germe passa nei siti che costituiscono il serbatoio artificiale (impianti idrici dei singoli edifici, piscine ecc.).
Fattori predisponenti la malattia sono l’età avanzata, il fumo di sigaretta, la presenza di malattie croniche, l’immunodeficienza. Il rischio di acquisizione della malattia è principalmente correlato alla suscettibilità individuale del soggetto esposto e al grado di intensità dell’esposizione, rappresentato dalla quantità di legionelle presenti e dal tempo di esposizione.
La legionellosi viene normalmente acquisita per via respiratoria mediante inalazione di aerosol contenente legionelle, oppure di particelle derivate per essiccamento.
I principali sistemi generanti aerosol che sono stati associati alla trasmissione della malattia comprendono gli impianti idrici, gli impianti di climatizzazione dell’aria (torri di raffreddamento, sistemi di ventilazione e condizionamento dell’aria, ecc.), le apparecchiature per la terapia respiratoria assistita e gli idromassaggi.
I sistemi di riscaldamento, ventilazione e condizionamento dell’aria e i loro componenti, così come pure l’acqua potabile e le attrezzature sanitarie, possono favorire e amplificare la diffusione di sostanze aerodisperse; tra queste di particolare pericolosità risulta essere Legionella sp.
Nel 2012 in Italia sono stati denunciati circa 1.300 casi di infezione da Legionella, in particolare le regioni maggiormente colpite sono state la Lombardia, il Veneto, l’Emilia Romagna, la Toscana, il Lazio e la Campania. Le strutture maggiormente esposte si confermano essere gli alberghi, le strutture sanitarie, le terme e le piscine.
I lavoratori maggiormente esposti a questa tipologia di rischio sono i manutentori delle torri evaporative, degli impianti di depurazione, i vivaisti, gli addetti alle vendite di vasche idromassaggio e il personale degli autolavaggi. Il D. Lgs. 81/08, il nuovo Accordo Stato Regioni del 7 febbraio 2013 e la UNI EN 83098:2002 permettono ai responsabili della sicurezza di conoscere e attuare le procedure da attuare per garantire e tutelare la sicurezza del personale in genere.
Negli ambienti sanitari il Direttore Sanitario ha una grande responsabilità per la gestione del rischio clinico: in virtù del D. Lgs. 502/517 229/99, deve mettere in atto misure preventive, e eventualmente risolutive in caso di contaminazioni, per garantire la sicurezza dei pazienti e del personale presente all’interno della struttura clinica.
E’ necessario porre particolare attenzione riguardo questa tematica e riguardo i rischi che l’uomo corre per la propria vita, a causa della negligenza o la cattiva informazione degli organi preposti alla tutela della sicurezza. E’ necessario predisporre un documento, facente parte del DVR, tenersi aggiornati sulle tecnologie e le metodologie innovative adottabili, predisporre un disciplinare tecnico per stabilire le responsabilità dell’ospedale e/o del gestore degli impianti.
Nella valutazione di questo tipo di rischio va considerato che la temperatura gioca un ruolo fondamentale per la crescita e lo sviluppo della Legionella sp., che ad una temperatura inferiore a 50°C ha una crescita ottimale, mentre a temperature superiori a 55°C non c’è crescita batterica.
Gli impianti che utilizzano l’acqua durante il loro funzionamento costituiscono un punto critico per l’annidamento, lo sviluppo e la proliferazione del batterio, in particolare le torri evaporative, le UTA (Unità di Trattamento Aria) e gli impianti idrici centralizzati, dotati di boiler.
Altri fattori che favoriscono la crescita del batterio e la contaminazione ambientale oltre la temperatura sono: il pH, la presenza di fonti di nutrimento, la presenza di altre forme di microrganismi.
La sopravvivenza della legionella è legata anche a fattori ambientali: l’aria sufficientemente umida (umidità relativa superiore al 65%), la temperatura non eccessivamente alta e la radiazione solare non molto elevata.
Le procedure che contrastano la moltiplicazione e la diffusione di Legionella devono essere attentamente considerate e messe in atto durante le fasi di progettazione, di installazione, di funzionamento e di manutenzione. Per quanto tali misure non garantiscano che un sistema o un componente siano privi di Legionelle, esse contribuiscono a diminuire la possibilità di inquinamento batterico grave.
Riassumendo, per l’analisi del rischio, tra i fattori da considerare si citano:
a) la fonte di approvvigionamento dell’acqua dall’impianto;
b) i possibili punti di contaminazione dell’acqua all’interno dell’edificio;
c) le caratteristiche di normale funzionamento dell’impianto;
d) le condizioni di funzionamento non usuali, ma ragionevolmente prevedibili (es.: rotture);
e) le prese d’aria per gli edifici (che non dovrebbero essere situate vicino agli scarichi delle torri di raffreddamento).
Tra i fattori di rischio più rilevanti:
1) la presenza e la carica di Legionella;
2) le condizioni ideali per la moltiplicazione del microrganismo (ad esempio: temperatura compresa tra 20 e 50°C, presenza di una fonte di nutrimento come alghe, calcare, ruggine o altro materiale organico);
3) la presenza di tubature con flusso d’acqua minimo o assente;
4) l’utilizzo di gomma e fibre naturali per guarnizioni e dispositivi di tenuta;
5) la presenza di impianti in grado di formare un aerosol capace di veicolare la legionella (un rubinetto, un nebulizzatore, una doccia, una torre di raffreddamento, ecc.);
6) la presenza (e il numero) di soggetti sensibili per abitudini particolari (es. fumatori) o caratteristiche peculiari (età, patologie croniche, ecc.)
Per ogni punto critico degli impianti (serbatoi di accumulo dell’acqua fredda; boiler e le relative serpentine interne utilizzate per la produzione di acqua calda sanitaria; impianti idrici degli stabili; torri evaporative; UTA) sarebbe opportuno rimuovere le incrostazioni presenti, i fanghi depositati, il bio-film adeso alle pareti per poi procedere alla disinfestazione degli stessi e degli impianti idrici nella loro totalità.
Dovrebbero essere adottare strategie di difesa a breve e a lungo termine:
– a breve termine con validità nell’immediato per eliminare le proliferazioni, riguardanti la decalcificazione o la sostituzione dei soffioni delle docce e la disinfestazione degli impianti idrici;
– a lungo termine adottate per una politica di prevenzione, riguardanti ad esempio la disinfestazione periodica dei serbatoi di accumulo di acqua, dei boiler e degli impianti idrici; il controllo dei soffioni; per gli impianti in funzione solo in alcuni periodi dell’anno prima della riapertura la pulizia e la disinfestazione completa di tutti gli impianti idrici.
Nelle Linee Guida del 04/04/2000 sono riportate diverse metodologie adottabili come misure a lungo termine per contrastare la Legionella.
Inoltre, tra i possibili trattamenti di prevenzione si elencano:
– Ipertermico continuo: efficace solo se l’impianto è nuovo ed è progettato solo per questo trattamento;
– Biossido di cloro: altamente corrosivo e aumentando la temperatura, diminuisce l’efficacia; comporta la formazione di sottoprodotti clorati e cloriti;
– Perossido di idrogeno combinato con l’Argento: il costo del prodotto è elevato ed ha problemi di tempi di contatto e penetrazione all’interno del biofilm; favorisce lo sviluppo di batteri ambientali (pseudomonas);
– Monoclorammine: sembrano essere un metodo efficace, meno aggressivo per le tubazioni, ad eccezione di quelle di rame; non produce sottoprodotti clorati né cloriti.
Negli Stati Uniti d’America l’uso delle monocloroammine avviene già dal 2002.
In Europa le linee guida non contengono standard per le clorammine, risulta ancora tra i metodi in corso di studi.
In Italia, invece, si fa riferimento alle Linee Guida G. U. 103 del 5/5/2000, nel 2013 ne è stata fatta una revisione con alcuni aggiornamenti, che saranno pubblicati nel corso del 2014.