Il microclima in azienda
Il microclima degli ambienti di lavoro è un tema che rientra a pieno titolo nella questione dei rischi di tipo fisico all’interno dei luoghi di lavoro, così come descritti Capo I, artt. 180-186del D.Lgs 81/2008.
È ampiamente dimostrato, infatti, che condizioni microclimatiche sgradevoli come umidità, sbalzi eccessivi di temperatura o correnti d’aria, possano avere un impatto negativo non solo sulla salute del lavoratore, ma anche sulle performance lavorative, a discapito della produttività dell’azienda.
L’attuale normativa prevede la tutela del benessere psicofisico del lavoratore, pertanto, il microclima degli ambienti di lavoro rappresenta un aspetto che non può e non deve essere trascurato.
Il microclima si riferisce al complesso dei parametri ambientali di temperatura, umidità relativa e velocità dell’aria che condizionano lo scambio termico tra un individuo e l’ambiente.
Un microclima considerato confortevole suscita negli individui una sensazione di benessere, definita comfort termico, in cui il soggetto non avverte alcuna sensazione né di caldo né di freddo. Le condizioni microclimatiche in un ambiente di lavoro, dunque, rappresentano un fattore ergonomico che non può e non deve essere trascurato, in quanto il microclima influisce e determina:
- Inquinamento dell’aria indoor;
- Qualità degli ambienti in cui si lavora o si vive;
- Benessere delle persone che frequentano quell’ambiente.
I parametri fisici che definiscono il microclima all’interno di un ambiente confinato come potrebbe essere quello di un ufficio o di un’azienda sono:
- Temperatura,
- Umidità relativa,
- Velocità dell’aria.
Il disequilibrio di questi fattori determinano sensazioni di disagio, ovvero un discomfort ambientale. Al contrario, un ambiente termico-igrometrico adeguato si trova in una condizione termicamente confortevole.
Nel D.Lgs 81/2008 viene trattato l’argomento del microclima, sia nel Titolo VIII, sia nell’allegato IV (Luoghi di lavoro), dove sono elencati tutti i requisiti di salubrità e del microclima: altezze dei locali, aerazione, temperatura ed illuminazione nei luoghi di lavoro.
La qualità dell’aria indoor e le condizioni microclimatiche presenti in un ambiente di lavoro, oltre ad influenzare il benessere dei lavoratori, possono costituire anche un pericoloso fattore di rischio. Un forte stress termico può portare col tempo a diversi malesseri fisici a carico di apparato respiratorio, muscolo scheletrico e gastro-intestinale, con conseguenze anche gravi per l’organismo.
Inoltre, il mancato controllo delle condizioni microclimatiche si può manifestare anche con la cosiddetta sindrome da edificio malato (o Sick Building Syndrome), ovvero una serie di problemi fisici e disturbi, come mal di testa, difficoltà di concentrazione, irritazione degli occhi, infezioni respiratorie, ecc.., che costituiscono un serio rischio per la salute.
Tra le misure di prevenzione e protezione che la normativa prevede per ridurre il rischio microclimatico, ci sono:
- Ricambio di aria naturale o meccanico dei locali chiusi di lavoro;
- Riduzione o aumento della ventilazione, in base al disagio termico dei lavoratori;
- Diminuzione delle fonti di calore, evitando un eccessivo affollamento del luogo di lavoro;
- Regolazione dei parametri di temperatura e di umidità in conformità alla normativa;
- Manutenzione periodica degli impianti di aerazione e condizionamento.
L’uomo, come tutti i mammiferi, è omeotermo: i valori di temperatura interna del corpo umano devono essere mantenuti entro un campo estremamente ristretto compreso tra 35,8°C e 37,2°C; tale intervallo garantisce le condizioni di salute e benessere dell’individuo.
Al fine di tenere costante la temperatura del corpo umano, è necessario che la quantità di calore prodotta o assunta dall’organismo sia uguale a quella trasferita all’ambiente. In questa condizione il bilancio termico è uguale a zero e la temperatura corporea interna viene mantenuta nell’intervallo di normalità.
I soggetti particolarmente sensibili all’ambiente termico sono:
- donne in gravidanza, per cui il caldo può essere una causa di disidratazione con la perdita, attraverso la sudorazione, di liquidi e sali minerali preziosi per l’equilibrio materno-fetale;
- minori, per cui, relativamente agli ambienti termici, nell’Allegato I alla Legge 977/1967 (“Tutela del lavoro dei bambini e degli adolescenti”, introdotto dall’art. 15, comma 1 del D.Lgs. 345/1999, si elencano le mansioni alle quali non possono essere adibiti gli adolescenti.
- persone con malattie croniche, tra cui:
- persone ipertese e cardiopatiche, particolarmente sensibili agli effetti negativi del caldo e del freddo che possono manifestare episodi di abbassamento della pressione arteriosa, portando anche a perdita di coscienza in ambienti caldi e ad incrementi pressori al freddo;
- persone con diabete, per cui si verifica una globale alterazione della reattività microvascolare con ridotta vasocostrizione in risposta all’esposizione alle basse temperature e ridotta vasodilatazione al caldo;
- persone con insufficienza renale e/o dializzate, per cui, soprattutto nel caso di nefropatia diabetica, è riportata in letteratura una frequente associazione con ipertensione arteriosa e malattie cardiovascolari ad alta mortalità;
- persone affette da disturbi psichici, in quanto l’uso di farmaci può aggravare gli effetti indotti dall’esposizione a temperature severe;
- persone che assumono regolarmente alcuni tipi di farmaci che possono favorire disturbi causati dal caldo in quanto interferiscono con i meccanismi della termoregolazione o perché influenzano lo stato di idratazione del soggetto.
Le condizioni tipiche di ambienti moderati sono considerate con temperatura ambiente (ta) ≈ 20°C, umidità relativa (UR) ≈ 50% e velocità dell’aria (va) ≈ 0.
MONITORAGGIO DELLA CO2 PER PREVENZIONE E GESTIONE DEGLI AMBIENTI INDOOR
Una corretta strategia di monitoraggio delle concentrazioni di anidride carbonica (CO2) (espresse in parti per milione-ppm volume/volume) mediante strumenti/dispositivi automatici/sensori fissi o portatili ha lo scopo principale di identificare gli ambienti con scarsi ricambi d’aria, di promuovere e realizzare quotidianamente modalità operative di ottimizzazione dei ricambi dell’aria esterna in modo naturale e con sistemi meccanici, di implementare efficaci programmi di miglioramento e controllo sotto diversi aspetti con una visione unitaria, prima che sorgano situazione di disagio, scarsa produttività o problematiche di salute per l’esposizione degli occupanti ai vari agenti chimici, biologici e fisici – ad esempio COV (Composti Organici Volatili), materiale particellare (Particular Matter) PM10, PM2,5, SVOC (Semi Volatile Organic Compounds, composti organici semivolatili), odori, batteri, virus, allergeni, funghi filamentosi (muffe) e all’umidità, ecc. n particolare le misurazioni che vengono effettuate dipendono in modo complesso da una serie di fattori che come noto hanno un’influenza sulle concentrazioni di CO2 negli ambienti indoor: il numero delle persone nelle normali condizioni di occupazione, la natura delle attività (impegno fisico), le caratteristiche e dimensioni degli ambienti e degli spazi indoor, le condizioni di utilizzo, la frequenza e durata di apertura di porte, finestre e balconi, la marcia e tempi di funzionamento del sistema di ventilazione, il posizionamento degli strumenti/dispositivi automatici/sensori. Gli studi effettuati hanno dimostrato come un eccessivo affollamento, una ventilazione non efficace, nonché il lungo tempo trascorso in ambienti/spazi e il mancato rispetto delle misure di prevenzione quali l’uso della mascherina e il distanziamento, possono portare ad un aumento delle concentrazioni di CO2 e aumentare il rischio di aerosol infettivi negli ambienti indoor.
La norma UNI EN ISO 16000 parte 26:2012 riporta chiare indicazioni sui principi di misura, indicando che, sebbene esistano numerosi metodi di misura della CO2, gli strumenti che funzionano secondo il principio di misura del Non Dispersive Infrared (NDIR) (quello più diffuso) e della spettroscopia fotoacustica (PAS) sono quelli che consentono di effettuare misure continue più affidabili nell’intervallo compreso tra 1 ppmv e 5000 ppmv.
Il controllo dei ricambi dell’aria esterna e della ventilazione espressi generalmente attraverso le metriche dei ricambi ora (h-1), portata specifiche per persona L/s o m3/s, rappresenta un aspetto di primaria importanza nella gestione degli ambienti/spazi ed in particolare della qualità dell’aria indoor è rilevante ai fini della salute in generale.
La CO2 negli ambienti indoor è il sottoprodotto naturale del metabolismo della respirazione che risulta più caldo, con un contenuto elevato di umidità e di CO2 presente al 4%v circa= 40.000 ppmv, i cui livelli correlano bene con l’occupazione e l’insoddisfazione a condizione che non ci siano altre sorgenti interne di CO2 diverse dalla presenza umana) che vengono trasportati e dispersi nell’ambiente/spazio dai movimenti dell’aria. È noto che non può essere utilizzata come “indicatore generale” della qualità dell’aria indoor perché non tiene conto delle altre importanti sorgenti di inquinanti indoor come i materiali, gli arredi, i tendaggi, le pitture, i trattamenti di finitura, le colle, le resine, i siliconi, i prodotti per la pulizia, le combustioni, ecc., che emettono COV, SVOC, VVOC, materiale particellare-PM10, PM 2,5, CO e NO2, oltre alla presenza di muffe, allergeni, batteri e virus solo per citare alcuni “classici” inquinanti indoor. La misurazione della CO2 è semplice ed è comunemente utilizzata, ma per farlo si devono acquisire diverse tipologie di informazioni di base sugli ambienti/spazi, e considerare le situazioni al contorno che si possono avere quali:
- dimensioni, tipo di attività svolta, tipo e qualità della ventilazione, filtrazione dell’aria (es. filtri classificati secondo UNI EN ISO 16890:2017 come ISO ePM10, ISO ePM2,5 e ISO ePM1 gli ex F7-F9 della UNI EN 779), modalità di riscaldamento/raffrescamento, sorgenti di combustione, componenti costruttive e impiantistiche, prestazione energetica/interventi di riqualificazione, cambio infissi, ecc.;
- attività e condizioni operative di utilizzo (es. occupazione costante dalla mattina alla sera con un numero consistente di persone che varia nel corso delle giornate o limitato a brevi periodi/una o più ore nell’arco delle giornate, solo la mattina, solo il pomeriggio oppure solo la sera con un numero consistente di persone che varia nel corso delle giornate o limitato a brevi periodi/una o più ore), ecc.
Per una razionale strategia delle misurazioni, le attività devono essere programmate ed effettuate nei diversi ambienti/spazi per le seguenti finalità:
- identificare di ambienti/spazi con scarsi ricambi dell’aria (si ricorda che tale misura non indica il flusso di aria della ventilazione) durante l’occupazione di personale, fruitori, pazienti, studenti, ecc.;
- verificare se gli ambienti/spazi sono dotati di regolari ricambi dell’aria durante l’occupazione e lo svolgimento di attività con la presenza di personale, fruitori, pazienti, studenti, ecc.;
- identificare gli eventuali interventi di miglioramento finalizzati alla prevenzione o individuazione precoce del possibile rischio (es. apertura finestre**, balconi, controlli sulle condizioni operative portate, flussi, e sui tempi di funzionamento dell’impianto di ventilazione, alcuni dei quali sono dotati di sensori di misurazione di CO2), ma anche in assenza di attività quando gli ambienti/spazi sono vuoti e sono necessarie diverse ore prima che la concentrazione di CO2 ritorni ai livelli di base;
- monitorare i livelli di concentrazione di CO2 in determinati ambienti/spazi durante l’occupazione e l’attività di routine;
- verificare la misura puntuale dei livelli di CO2, mirata a soddisfare richieste o a risolvere problematiche poste all’attenzione da parte dei fruitori;
- verificare l’efficacia delle misure di ottimizzazione dei ricambi dell’aria e della ventilazione adottate nei diversi ambienti/spazi per controllare anche il loro stato di funzionamento nel tempo.
Il Rapporto ISTISAN 16/15 raccomanda di utilizzare nelle valutazioni una concentrazione massima della CO2 di 1000 ppmv che rappresenta un riferimento/guida per diversi Paesi della UE ed extra UE, “un primo approccio” gestionale nel processo di conoscenza della qualità dell’aria indoor non legato strettamente a problematiche di salute (gli effetti sulla salute si verificano a livelli di concentrazione significativamente più elevati); un valore superiore di circa 600 ppmv rispetto al valore medio di CO2 in aria ambiente-outdoor che è compreso tra i 400 e i 500 ppmv (con variazioni orarie e giornaliere che risentono della stagione e possono essere superiori anche ai 150 ppmv). In alcuni casi le nazioni hanno proposto valori di 800-900 ppmv al fine di limitare la diffusione dei virus e spesso facendo riferimento alla percentuale di aria già respirata dagli occupanti, *** al superamento di tali valori si raccomanda di individuare delle azioni in termini di miglioramento della ventilazione/ricambio dell’aria (es. apertura finestre con una maggiore frequenza, controlli sulle condizioni operative impianti di ventilazione: portate, flussi, e sui tempi di funzionamento dell’impianto di ventilazione) e/o riduzione del numero di persone ammesse negli ambienti/spazi in funzione del tipo di attività svolta.
Nello specifico valori di concentrazione di CO2 permanentemente superiori ai 1000 ppmv durante l’occupazione continua degli ambienti di cui si conoscono le principali caratteristiche fisiche e di utilizzo indicano che i ricambi di aria esterna e la ventilazione sono insufficienti e vanno migliorati.