L’Italia e i cambiamenti climatici
Secondo il Ministero dell’Ambiente e l’Apat i cambiamenti climatici peggioreranno la maggior parte degli indicatori ambientali e socioeconomici dell’area mediterranea. Un po’ meglio andrà nel Nord Europa.
Quattro settori produttivi o ambientali su 10 migliorano nel Nord Europa, otto e mezzo peggiorano nel Mediterraneo. Nel vecchio continente il cambiamento climatico non è uguale per tutti: a fare maggiormente le spese del caldo che avanza e dei fenomeni meteorologici estremi sarà il Sud.
I paesi del Nord – Gran Bretagna o Scandinavia – per un periodo abbastanza lungo, potrebbero addirittura trarre dei benefici economici dall’effetto serra, in settori chiave come l’agricoltura, la forestazione, il turismo.
Secondo i rapporti internazionali (Onu e Unione europea), rielaborati dal ministero dell’Ambiente e dall’Apat, il cambiamento climatico porterà a un miglioramento di quasi il 40% degli indicatori degli impatti sociali e ambientali nel Nord Europa, mentre a peggiorare nel Mediterraneo sono l’85% dei dati.
Tutti, insomma, avranno da perdere, dall’aggravamento dell’effetto serra, ma paesi come l’Italia, la Spagna e la Grecia saranno maggiormente danneggiati nelle loro economie, oltre che nei loro ecosistemi, dall’innalzarsi della colonnina di mercurio.
Nella partita doppia dei danni/benefici attesi, il Nord Europa ha infatti ben 17 motivi per dire di sì ai cambiamenti climatici sui 44 indicatori socio-ambientali individuati, mentre il Mediterraneo vede un miglioramento in soli 6 campi sul totale di 42 e non in settori particolarmente significativi.
Secondo le previsioni dei ricercatori nei paesi meridionali del continente aumenteranno gli areali di diffusione di rettili e anfibi, diminuirà la domanda di energia in inverno e, come dovunque in Europa, si ridurranno le ondate di freddo.
Inoltre, spiega ancora il report Apat, i cambiamenti del clima indurranno (o costringeranno) le autorità competenti a un miglioramento della gestione integrata della fascia costiera (minacciata dall’innalzamento del livello del mare) e dei laghi costieri che aumenteranno le loro dimensioni.
Sui 42 indicatori presi in considerazione per il Mediterraneo sono ben 34 quelli che indicano un peggioramento della situazione ambientale ed economica. A cadere verticalmente, nei nostri paesi, saranno la disponibilità di acqua, la durata della copertura nevosa, il turismo estivo oltre a quello invernale, l’area fertile per l’agricoltura, i raccolti estivi e invernali, l’estensione delle spiagge sabbiose. Aumenteranno la domanda di energia estiva, le ondate di caldo, le possibilità di contrarre malattie legate all’acqua o alla diffusione di insetti dannosi, lo stress idrico.
Situazione molto diversa per il Nord Europa, che vedrà migliorare le condizioni dell’agricoltura, del turismo, la bilancia energetica durante i mesi invernali. Ma che sarà martoriato da alluvioni (lo abbiamo visto nelle settimane passate), a tempeste e maggiore innalzamento degli oceani.
Secondo quanto riportato dall’Ipcc, il clima in Europa continuerà a cambiare nel corso del 21° secolo, ma non in maniera uniforme tra regioni. Tutto il continente si riscalda di una media di 0,1-0,4 gradi per decennio, ma le precipitazioni durante il Novecento sono aumentate a nord del 10-40% e diminuite a sud di oltre il 20% e questo trend è destinato a rimanere sostanzialmente stabile. Gli scenari indicano che il riscaldamento avrà luogo soprattutto in inverno nel nord e soprattutto in estate nel Mediterraneo.
Le precipitazioni invernali – dice ancora l’Apat – aumenteranno nel nord e diminuiranno nel sud, ma a calare vertiginosamente nelle regioni meridionali del continente saranno soprattutto le precipitazioni totali annue. La disponibilità di acqua nel Mediterraneo in estate potrebbe ridursi dell’80%, le necessità di irrigazione cresceranno per l’agricoltura mediterranea, mentre nel nord rimarranno stabili o diminuiranno. Scenderà nel sud l’affidabilità dell’energia idroelettrica.
A nord il clima più caldo e la maggiore quantità di anidride carbonica in circolo nell’atmosfera faranno aumentare la produttività agricola, mentre nel Mediterraneo e nei Balcani diminuirà. Le aree adatte alla coltivazione del mais potrebbero aumentare del 30-50% in Irlanda, Scozia, Svezia meridionale e Finlandia, mentre la stessa pianta avrà sempre maggiori difficoltà a crescere nell’area mediterranea, così come i girasoli e la soia. Le foreste guadagneranno terreno nei paesi settentrionali e si ritireranno nel meridione.
Se vorrà sopravvivere, gran parte del turismo mediterraneo dovrà adattarsi a un cambiamento di stagione, spostarsi verso la primavera e l’autunno, e comunque le alte temperature porteranno a una migrazione verso nord dei flussi turistici.
Vede generalmente nero l’industria europea dello sci, vista la mancanza di copertura nevosa che si prevede soprattutto per l’inizio e la fine della stagione: sulle Alpi orientali ci saranno quattro settimane di neve in meno in inverno e sei in estate, per ogni grado di aumento della temperatura. Nelle montagne tra Lombardia e Svizzera si calcolano 50 giorni in meno con 2 gradi in più di temperatura e a precipitazioni inalterate.
Nel 2050, la domanda di riscaldamento potrebbe ridursi del 5-10% in Gran Bretagna, e quella di elettricità dell’1-3%, con 2 gradi di temperatura in più, e per il 2100 si calcola un risparmio di almeno 20-30%. Nel Mediterraneo, a fronte di un risparmio di riscaldamento per 2-3 settimane, si prevede una crescita per il raffreddamento degli edifici di 2-5 settimane: già nel 2030 le necessità di energia elettrica per i condizionatori potrebbero innalzarsi di quasi il 30%.
Per contro, dice ancora il report Apat, ad aumentare nel Nord saranno i fenomeni che già vediamo in atto: alluvioni invernali, intensità delle tempeste atlantiche. A perderci, o comunque a doversi adeguare a scenari in drammatico cambiamento sarà il sistema assicurativo, che oggi copre questo genere di catastrofi ma non la siccità, di nuovo penalizzando il sud del continente.