Datore di lavoro pubblico e prova per delega
Vi è una particolare sfaccettatura nell’ambito della responsabilità connessa al ruolo del datore di lavoro, che fa emergere tutta la poliedricità della questione, rappresentata dalla qualità di soggetto pubblico del datore di lavoro stesso.
La questione è stata più volte sottoposta, anche in tempi recenti, all’attenzione degli organi della giustizia ordinaria chiamati a dirimere controversie in cui si trovava coinvolta la pubblica amministrazione quale datore di lavoro. Citiamo tra tutte la sentenza della Suprema Corte del 14 aprile 1999 che si esprimeva proprio in merito all’individuazione soggettivististica del datore di lavoro (resa più difficile dal coinvolgimento della pubblica amministrazione) prendendo a base normativa quanto previsto dal D.Lgs. 626/94 art. 2 lett b) secondo cui “nelle pubbliche amministrazioni […] per datore di lavoro si intende il dirigente al quale spettano i poteri di gestione, ovvero il funzionario non avente qualifica dirigenziale, nei soli casi in cui quest’ultimo sia preposto ad un ufficio avente autonomia gestionale”.
La norma individua quale criterio identificativo del ruolo di datore di lavoro la presenza in capo ad un soggetto di poteri decisionali, gestionali e di spesa. Più precisamente si è espressa la sentenza della Cassazione emanata il 28 aprile 2003, sottolineando, in appoggio a quanto previsto in precedenza, che tra le amministrazioni pubbliche rientrano a pieno titolo anche gli enti pubblici. La decisione si basa sul disposto del D.Lgs. 30 marzo 2001 n. 165 secondo cui l’utilizzo del termine “potere di gestione” non si discosta dal significato attribuito all’espressione nel settore professionale privato dove questo presuppone l’esistenza di una posizione di autonomia non solo decisionale, ma anche finanziaria.
I contenuti di tali sentenze, espressione di una quanto mai consolidata corrente giurisprudenziale, vengono infine riprese dalla 3° sezione penale della Corte di Cassazione con la pronuncia n. 39268 del 7 ottobre 2004: dal testo emerge la criteriologia impiegata dalla Corte per l’individuazione dei caratteri specifici raffiguranti un potenziale datore di lavoro. Il requisito che secondo la Corte consente di stabilire profili di obbligo, in relazione agli adempimenti previsti dalla normativa sulla sicurezza e l’igiene del lavoro, e conseguenti profili di responsabilità in caso di inosservanza, non deve essere di tipo formale, in pratica non devono essere prese n esame le qualifiche o i titoli del soggetto, al contrario, si deve trattare secondo la Corte di una valutazione pertinente alle concrete attività svolte dal soggetto, tenendo anche conto del fatto che riguardo alla figura del datore di lavoro pubblico il D.Lgs. 242/96 ha modificato il testo del D.Lgs. 626/94 stabilendo la coincidenza tra datore di lavoro e dirigente del settore interessato.
L’individuazione di tale ruolo e la conseguente responsabilità che questo comporta non sollevano in toto l’amministrazione dai propri obblighi e questo avviene sulla base del comma 12 art. 4 626/94 che sancisce gli obblighi dell’amministrazione di garantire interventi strutturali, di manutenzione e tutto quanto sia necessario a garantire la sicurezza dei locali e degli edifici assegnati in uso all’amministrazione stessa. La norma opportunamente precisa che si considerano adempiuti detti obblighi da parte di dirigenti e preposti nel momento in cui viene fatto presente con apposita richiesta il loro soddisfacimento .
I richiami fin qui effettuati fanno emergere un importante principio, quello della “delega della funzione” le cui caratteristiche sono una irrinunciabilità da parte del dirigente unita al fatto che la delega ha valore solamente qualora l’inadempimento degli obblighi in esame sia attribuibile solo ed esclusivamente al delegato e l’ente non ne sia informato.
Va inoltre operata all’interno dell’attività dell’ente un’ importante distinzione tra le situazioni potenzialmente pericolose sotto l’aspetto della responsabilità, separando le situazioni occasionali da quelle indubbiamente più gravi rappresentate da carenze strutturali permanenti che investono non solo il dirigente quale autore od omissore di determinati comportamenti, ma anche l’amministrazione.
Inevitabilmente queste considerazioni portano all’individuazione di aspetti che accomunano le attività pubbliche e private sotto l’aspetto organizzativo in quanto in qualunque prospettiva professionale la concessione di autonomia decisionale è presupposto necessario per lo svolgimento di un determinato complesso di attività e comporta quale logica conseguenza, la concessione anche di un adeguato potere di spesa per poter svolgere in maniera completa tali attività.
La responsabilità dell’ente pubblico quale datore di lavoro comporta una posizione di maggiore rigidità in quanto la posizione dell’amministrazione sarà quella di dover rispondere non solo per attività immediatamente ad essa riconducibili, ma anche quando, avendo notizia di difetti e mancanze, non si attivi tempestivamente.
La Suprema Corte chiarisce ulteriormente i contorni del concetto così individuato richiamando un fondamentale principio, caratteristico dell’attività amministrativa che è quello di organizzare l’attività basandosi sempre su atti scritti. Il rispetto di tale forma si inserisce anche nel contesto dell’onere probatorio nascente in capo al titolare dell’obbligo di garanzia circa la dimostrazione dell’esistenza di atti scritti antecedenti al fatto consentendo di individuare le condizioni che certificano la buona condotta della persona che ha cercato di adempiere agli obblighi imposti dal ruolo predisponendosi non solo all’applicazione di un certo tipo di comportamento ma pianificando i successivi passi per pervenire ad un determinato risultato.