Le mucche inquinano di più delle auto di tutto il mondo
Strano ma vero: inquina di più allevare mucche che guidare automobili. Lo dice un rapporto della Fao (l’organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura) e lo sostiene con la certezza dei numeri: il settore dell’allevamento di bestiame (bovini, maiali, pecore, piccoli ruminanti e volatili) produce più gas serra rispetto al sistema mondiale dei trasporti (il 18% contro il 14%), inserendosi tra i principali responsabili del riscaldamento globale del pianeta.
Più che un allarme, è un ultimatum: secondo Henning Steinfeld, funzionario della Fao, «l’allevamento costituisce un grande problema ambientale a cui va posto urgente rimedio». E non solo per salvare l’atmosfera, ha aggiunto, ma anche terre e acque, sottoposte a un lento ma inesorabile degrado. E’ una rincorsa senza prospettive certe: in realtà, le previsioni tendono al peggio. Il settore dell’allevamento, che provvede alla sussistenza di un miliardo e 300 milioni di persone e rappresenta il 40% dell’intera produzione agricola, è in crescita vorticosa: entro il 2050 gli attuali 229 milioni di tonnellate di carne prodotti annualmente diventeranno 465 e i 580 milioni di tonnellate di latte raddoppieranno a 1043 milioni, per effetto della crescita globale del benessere e dell’aumento vorticoso dei consumi in paesi a grande popolazione come Cina, India e Brasile.
Ciò comporterà un altissimo costo ambientale in termini di emissioni di Co2 (sul totale delle emissioni legate all’attività umana, il 9% viene dagli allevamenti), di metano proveniente dal sistema digestivo degli animali (il 37% sul totale prodotto dalle attività umane), e di ammoniaca, responsabile poi dell’acidificazione delle piogge. Rimedi? La Fao ne suggerisce qualcuno: maggior controllo dei pascoli, in modo da non degradare le aree verdi per eccesso di sfruttamento; miglioramento della dieta degli animali, con l’obiettivo di ridurre la fermentazione enterica e le conseguenti emissioni di metano; incentivazione degli impianti di biogas per smaltire il letame; miglioramento dei sistemi di irrigazione; vincoli all’allevamento su larga scala vicino alle aree urbane.
Qualcosa, in Europa, si sta muovendo. In Danimarca, per legge, gli allevatori sono obbligati a «iniettare» il letame nel sottosuolo, per prevenire l’emissione di gas; in Olanda sono operativi progetti- pilota per trasformare un impasto di escrementi, carote e scarti dolciari in biogas da bruciare per ottenere calore ed elettricità. E in Italia? «Rispettiamo la direttiva europea sui nitrati e incentiviamo la produzione di elettricità da biogas — spiega Domenico Gaudioso, responsabile del settore clima dell’Ispra—ma il problema è serio e si dovrebbe fare di più, non tanto per gli allevamenti nuovi, che devono rispondere all’obbligo di contenere le emissioni al suolo e nell’atmosfera, quanto per quelli vecchi. Ma con costi che gli agricoltori, senza incentivi, non possono sostenere ». Il futuro è però questo: il riscaldamento globale si combatterà (anche) mucca per mucca, maiale per maiale, pollo per pollo.
fonte: Corriere della Sera