Il paese che non ricicla
Ogni italiano produce 546 chili di rifiuti all’anno. Ma se ne recuperano solo 141.
Se l’immondizia è lo specchio dello stato di salute di un Paese (a Milano, per dire, la raccolta è calata del 10% – causa crisi – a inizio 2009), l’Italia ha davanti una lunga strada prima di entrare tra le superpotenze dei rifiuti. A produrne, a dire il vero, ci battono in pochi: siamo a quota 546 kg. a testa l’anno. Il problema è il loro destino una volta che escono dalla pattumiera di casa nostra. L’Europa ne ricicla il 39%. Trasformando lattine di birra in biciclette, tappi di plastica in sedie e bottiglie di minerale in caldi “pile” per l’inverno. Il Belpaese, come tradizione, viaggia a due velocità. Siamo tra i leader mondiali nel recupero della carta. Il 75% di giornali, brochure, lettere, riviste e fogli che entrano sul mercato ogni anno sfuggono alla discarica per rinascere a nuova vita come cartone ondulato. Ne ricicliamo 4 milioni di tonnellate l’anno, un business milionario (“ne vendiamo anche ai cinesi!”, dice Giancarlo Longhi, direttore del Conai) almeno fino al 2008, quando i prezzi della cellulosa viaggiavano nella stratosfera. Per il resto, però, siamo la Cenerentola dei rifiuti del Vecchio continente: malgrado la raccolta differenziata sia raddoppiata dal 2000 ad oggi, infatti, l’Italia ne recupera solo un modesto 27,5% (dati Apat), ben al di sotto del 40% che tutti gli ultimi governi si erano posti come obiettivo 2008.
La geo-politica della pattumiera tricolore ha comunque una mappa molto diversificata. E le immagini di un anno fa, con le strade di Napoli sommerse dai sacchetti dell’immondizia, sono per fortuna un’eccezione. “Basta scendere pochi chilometri a sud che la situazione cambia completamente – spiega Longhi – . A Salerno abbiamo appena lanciato una campagna per separare vetro, carta, metallo e plastica e in poco tempo siamo riusciti a regalare una nuova vita al 70% del materiale gettato nei cassonetti”, anche se ancora oggi ci sono paesi che non fanno la raccolta differenziata.
Milano da anni non getta nemmeno un chilo di materiale in discarica: “Il 39,5% viene riciclato, un tasso simile a quello di Vienna e Berlino, le metropoli più virtuose d’Europa – dice con orgoglio Salvatore Cappello, direttore generale dell’Amsa, la municipalizzata meneghina – il resto finisce nel termovalorizzatore, producendo energia per la città”. Al Nord la raccolta differenziata è già arrivata a quota 42,4% con regioni come Trentino e Veneto che recuperano più della metà dei rifiuti che producono. Roma, dove la cultura della discarica la fa ancora da padrona, è ferma a un modestissimo 13%, mentre al Sud si scende all’11,4%.
Peccato. Perché i 141 kg. l’anno riciclati da ogni italiano – come insegna la nuova economia verde di Barak Obama – non sono certo un business da buttare. Prendiamo la bottiglia che gettiamo nel cassonetto di casa nostra. In meno di 24 ore, quei mille cocci frantumati sul fondo del bidone sono in grado di riavvolgere il nastro della propria esistenza, trasformandosi in bottiglie nuove di zecca. Con un risparmio secco del 20% d’energia (e del 30% circa sui costi) per il produttore.
La metamorfosi ha pochi artefici: la ruspa che scarica la montagna di pezzi di vetro sui 200 metri di nastro di “depurazione”, le gigantesche elettrocalamite che separano il metallo finito per errore nel mucchio, una doppia selezione manuale per togliere carta e plastica, una scrematura sui setacci meccanici e, dulcis in fundo, il passaggio nelle macchine ottiche per eliminare ceramica e pirex. In meno di due minuti un bocchettone scarica alla fine del nastro i rottami di vetro pulito, pronti per ricompattarsi nei forni delle vetrerie. Una bottiglia su due di quelle in vendita sugli scaffali dei supermercati è, per così dire, di “seconda mano”.
Il vero oro delle pattumiere italiane è però la carta. Resuscitarla è semplice: basta depurare (a macchina) quella che gettiamo nei cassonetti sotto casa da plastica e puntine di ferro, deinchiostrarla con i solventi e poi immergerla in enormi vasconi d’acqua. Dove lo “spappolatore” – nome nemmeno troppo scientifico di due gigantesche pale rotanti – la riduce a una pasta di microfibre destinata ad andare dritta dritta in cartiera. “Migliore è la qualità del prodotto finito, più vale”, dice Cappello. Non a caso a Milano – come in quasi tutte le città che fanno perbene la raccolta differenziata – decine di super-ispettori fanno la ronda ogni mattina per controllare a campione i cassonetti. Veri 007 della monnezza con licenza di multare (da 50 a 250 euro) chi mischia male i prodotti. “Di solito si eleva la contravvenzione ai condomìni” spiega Cappello. Ma a volte si riesce a risalire direttamente al colpevole. “Basta trovare una lettera con nome e cognome… “. Troppa severità? Agli inglesi va pure peggio, visto che le municipalizzate locali hanno inventato la figura dei “delatori del pattume”. Premiando chi denuncia i vicini, rei di aver gettato vetro nella plastica o carta nel metallo.
L’Oscar del risparmio ambientale sul fronte del riciclo va però ad acciaio e alluminio. Come il vetro sono riutilizzabili praticamente in eterno e il 50% della produzione mondiale (il 60% in Italia) è garantito proprio da prodotto risorto dall’immondizia. Il vantaggio energetico è del 95% per l’alluminio e del 65% per l’acciaio. Come se dalle strade d’Europa sparissero di colpo due milioni di vetture (e le loro emissioni di anidride carbonica) che percorrono 15mila chilometri l’anno. Il recupero, tra l’altro, ha pochi problemi tecnici: si separa il materiale con le elettrocalamite o le “correnti indotte”, e si manda in forno. Da lattine e tondini rinascono così caffettiere, serramenti, acciaio per l’auto e per l’edilizia.
La maglia nera della raccolta differenziata tocca invece a quello che, in apparenza, pare il prodotto più semplice da raccogliere: la plastica: “Per poterla riutilizzare va sottoposta a trattamenti un po’ più costosi”, spiega Longhi. E non a caso solo il 30% di quella immessa sul mercato ogni anno riesce a sfuggire a discariche e termovalorizzatori. “Vanno separati i singoli polimeri e solo allora si può lavorarli”. Il risultato però è simile a quello di un caleidoscopio. Dove gli stessi elementi, come per magia, si ricompongono in mille forme diverse. Molte delle sedie dei nostri uffici sono fatte per lo più di vecchi tappi di plastica. I pile – come molti indumenti sintetici – sono figli naturali di bottiglie d’acqua minerale. I flaconi di detersivo si trasformano in isolanti per l’edilizia. Gli shopper, i classici sacchetti del supermercato, rinascono promossi a sacconi dell’immondizia. “Gli esportiamo anche in Francia”, dice Longhi.
Non tutto ciò che riluce, naturalmente, è oro. Nemmeno nella pattumiera. La criminalità organizzata ha da tempo messo le mani sui rifiuti speciali (ogni anno ne sparisce una quantità pari a una montagna alta 3.100 metri) dice Legambiente. E gli eco-furbi che speculano sulla raccolta differenziata non esistono solo in Italia. Greenpeace ha applicato un Gps a un vecchio televisore in Gran Bretagna, affidandolo a uno dei consorzi incaricati di smaltirlo in sicurezza in loco. Il tracciato del satellite però ha raccontato un’altra storia: la tv, invece che essere distrutta, è stata spedita in Nigeria, venduta per qualche centesimo, spolpata di tutta l’elettronica e poi bruciata all’aria aperta in una mega-discarica, liberando diossina. Tutto il mondo è paese.
E il futuro? In parte è già scritto. Barcellona e Goteborg, per esempio, hanno già varato esperimenti di raccolta differenziata di rifiuti pneumatica in modo tale da ridurre i rifiuti. In pratica i cassonetti sotto casa scaricano direttamente in una rete di tubature sotterranee che trasportano carta, vetro, metallo e C. in mega-piattaforme centralizzate. “Eliminando così l’inquinamento e i disagi al traffico della raccolta porta a porta”, spiega Cappello, annunciando che l’Amsa farà un esperimento del genere a Milano, nel nuovo quartiere Citylife. Un sistema molto simile funzionava a Bedrock City, la città preistorica dei Flinstones. E in un mondo che deve imparare a non sprecare nulla, tutte le buone idee, anche quelle in cartoon, possono tranquillamente essere riciclate.
fonte: Repubblica-ambiente