Stirene: usi e rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori
Lo stirene (altrimenti noto come stirolo, feniletilene o vinilbenzene) è un monomero della famiglia degli idrocarburi aromatici (composti chimici formati da atomi di idrogeno e carbonio), che viene prodotto attraverso una tecnica di lavorazione che permette di ricavare, dal gas naturale o dal petrolio, etilene e benzene (un idrocarburo aromatico).
A temperatura ambiente, questo composto si presenta come un liquido incolore ed oleoso, insolubile in acqua, caratterizzato da un odore dolciastro.
Date le sue proprietà chimiche, viene utilizzato soprattutto nella produzione e nel trattamento di materie plastiche. Eccone una rassegna:
- polistirene (comunemente detto polistirolo);
- l’Acrilonitrile-Butadiene-Stirene (o ABS, particolarmente diffuso per la sua resistenza);
- la resina Stirene-Acrilonitrile (SAN);
- gomma sintetica stirene-butadiene (SBR, ottenuta dalla fusione di monomeri di stirene e butadiene, talvolta commerciata sotto forma di polvere);
- resine poliestere insature per vernici;
- resine polistireniche;
- manufatti di vetroresina.
In sintesi, quindi, le sue applicazioni sono numerosissime e varie, e i materiali prodotti a partire dallo stirene ci accompagnano nella vita di tutti i giorni. Non solo lo stirene serve a realizzare un’ampia gamma di contenitori per uso alimentare, cosmetico, sanitario (e non solo), componenti di elettrodomestici, automobili, radio, materiale medico e di laboratorio, ma rappresenta anche una risorsa per svariati settori del mercato internazionale (nelle industrie automobilistica, elettrica ed elettronica, alimentare, o nella produzione di imballaggi nell’arredamento, soltanto per citarne alcune).
La differenza tra stirene e polistirene (o polistirolo)
Prima di procedere alla valutazione dei rischi derivanti dallo stirene, bisogna chiarire la differenza chimica tra stirene, la sostanza con la quale entrano a contatto i lavoratori dei settori citati, e un suo polimero, il polistirene, uno dei materiali con cui entra a contatto l’utente finale.
Mentre il primo appartiene alla categoria dei monomeri, il secondo rientra in quella dei polimeri: questo significa che il polistirene si ottiene dalla polimerizzazione della materia prima, vale a dire dello stirene, e può essere compatto, espandibile ed espanso (sia sinterizzato, EPS, sia estruso, XPS). In anni recenti, la tecnologia di produzione in questo settore si è fortemente evoluta, portando alla sostituzione delle tecniche di polimerizzazione tradizionali con innovativi processi continui in massa-soluzione, più economici e con un minore impatto ambientale.
Lo stirene è tossico?
Sul sito dell’Agenzia Europea per le Sostanze Chimiche (ECHA) sono elencati alcuni effetti causati dall’esposizione a questa sostanza. Vediamoli di seguito:
- causa danni gli organi, in caso di esposizione prolungata o ripetuta;
- allo stato liquido, e sotto forma di vapore è infiammabile;
- provoca grave irritazione agli occhi e alla pelle;
- risulta dannoso in caso di inalazione (mentre non risulta pericoloso il contatto tra i vapori e la cute);
- potrebbe danneggiare la riproduttività.
La reazione all’inalazione delle emissioni di stirene si manifesta sotto forma di sintomi quali vertigine, sonnolenza, mal di testa, nausea, vomito, debolezza, perdita di conoscenza.
Questa sostanza, quindi, rappresenta un pericolo per i lavoratori esposti alle emissioni, ma non per l’utente finale.
A questo proposito, un segnale di allarme era stato lanciato già nel novembre 2003 dall’INAIL, che analizzando l’attività del comparto vetroresina, dove lo stirene è impiegato come diluente delle resine e dei gelcoat, aveva determinato la presenza di “un rischio chimico di esposizione professionale”, dovuto tanto alle caratteristiche delle materie prime impiegate, quanto alle loro modalità di lavorazione, definite artigianali.
Oltre ai già citati danni a occhi e pelle, l’Istituto nazionale parlava di depressione del sistema nervoso centrale, sottolineando i rischi derivanti da esposizioni croniche, e quindi auspicava una corretta valutazione dei rischi, insieme all’elevamento dello standard delle misure di prevenzione (installazione di apparecchi di aspirazione localizzati all’interno degli impianti di lavorazione, e uso di dispositivi di protezione da parte dei lavoratori).
Stirene e cancro
Nella lista di agenti identificati come cancerogeni, probabilmente tali o possibilmente tali, redatta dall’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (Iarc), compaiono il benzene – che, come abbiamo visto, viene impiegato nella sintesi dello stirene – e il butadiene, utilizzato nella produzione di gomma SBR e di materie plastiche ABS, ma non lo stirene.
Di parere contrario è stato invece il Dipartimento della salute degli Stati Uniti, che, nel XII rapporto sui cancerogeni del 10 giugno 2011, ha riconosciuto ufficialmente lo stirene come cancerogeno. In aggiunta, uno studio – i cui risultati sono stati pubblicati sulla rivista Epidemiology nel 2018 – ha riscontrato un’elevata densità di alcuni tipi di cancro in lavoratori esposti ad alte concentrazioni di stirene.
Le soluzioni adottate in ambito europeo: la normativa UE
Su proposta del Comitato di valutazione dei rischi (RAC) dell’Agenzia Europea per le Sostanze Chimiche (ECHA), è stato introdotto il regolamento (UE) n. 605/2014, che modifica il precedente regolamento (CE) n. 1272/2008 in merito “all’etichettatura e all’imballaggio delle sostanze e delle miscele”, comportando la classificazione dello stirene come tossico per la riproduzione e per gli organi uditivi in caso di esposizione ripetuta.
Questo significa che nella scheda di sicurezza (presente sugli imballaggi della sostanza o di una sua eventuale miscela e contenente inoltre indicazioni sul suo smaltimento nei rifiuti) dovrà presentare il simbolo di pericolo (cuore che esplode di colore nero) e non più il simbolo di avvertenza (punto esclamativo di colore nero).
Ma non solo: la sua classificazione come “tossico per la riproduzione” (codice H361d) ne ha imposto un abbassamento dei livelli di emissione in atmosfera a 5mg/m3, allo scopo di contenerne la concentrazione nella stessa.
L’impatto delle normative sui lavoratori
Stando a quanto riportato dall’Associazione Italiana Polistirene Espanso (AIPA), l’industria degli stirenici, visti “gli scenari di esposizione per i lavoratori in diversi settori”, ha provveduto a fornire a tutti i lavoratori impegnati nell’approvvigionamento e nello stoccaggio dello stirene tanto le linee guida di sicurezza quanto i dispositivi di protezione necessari, e ha proposto un limite di esposizione professionale volontario allo stirene pari a 20 ppm (vale a dire “parti per milione”) – una media ponderata su 8 ore.
Così facendo, si è dimostrato che i lavoratori possono lavorare a contatto con lo stirene in piena sicurezza, poiché risultano tutelati da eventuali emissioni della sostanza.
Inoltre, i produttori di stirene hanno concordato un limite di esposizione professionale di 20 ppm, che però, in Europa, è soggetto a notevoli variazioni da paese a paese.