No degli esperti UE ai test genetici sui lavoratori
Dalla Newsletter del Garante per la protezione dei dati personali N. 184 del 22 – 28 settembre 2003
Niente test genetici sui lavoratori né prima né dopo l’assunzione. Non sono necessari per adempiere agli obblighi del datore di lavoro in materia sanitaria o per la valutazione attitudinale dei dipendenti e la selezione degli aspiranti lavoratori. Si può ricorrere allo screening genetico solo in casi del tutto eccezionali, espressamente previsti e regolati dalla legge, a fini di tutela della salute, e comunque con il consenso informato dei lavoratori. Allo stato attuale delle conoscenze scientifiche l’affidabilità e il valore predittivo dei test sono ancora controversi.
Queste, in sintesi, le conclusioni formulate nel parere che il Gruppo Europeo sull’Etica nelle Scienze e nelle Nuove Tecnologie, costituito da esperti indipendenti dei 15 Paesi membri UE (l’Italia è rappresentata da Stefano Rodotà), ha pubblicato di recente in merito agli “Aspetti etici dei test genetici sul luogo di lavoro” (il documento è disponibile all’indirizzo http://europa.eu.int/…
Il Gruppo, che riferisce direttamente al presidente della Commissione Europea, è giunto alla formulazione di questo parere all’esito di un lungo processo di analisi avviato con una tavola rotonda a Bruxelles nel 2000 ed articolatosi in numerosi incontri nei primi mesi del 2003.
Il parere riguarda lo “screening genetico”, ossia i test genetici condotti per individuare l’eventuale presenza di (o suscettibilità a) alterazioni nel patrimonio genetico di una persona. Diverso è invece il caso del “monitoraggio genetico”, ossia l’esecuzione di indagini genetiche a intervalli regolari per verificare se le condizioni dell’ambiente di lavoro, in sé potenzialmente nocive, abbiano portato ad alterazioni del patrimonio genetico dei dipendenti. Il Gruppo tiene a sottolineare, tuttavia, che le conclusioni complessive ed il contesto di riferimento del parere restano validi anche per il monitoraggio genetico.
E’ evidente l’interesse che i risultati di simili test rivestono per i datori di lavoro, nonché per le compagnie di assicurazione chiamate a stipulare, ad esempio, polizze-vita con i dipendenti di una specifica azienda. Pertanto, il Gruppo ha ritenuto di dover chiarire i presupposti scientifici, giuridici ed etici che fanno attualmente da sfondo alla valutazione di questo tema.
Sul piano scientifico, la validità dei test genetici è ancora molto controversa. La loro affidabilità è inficiata dalla presenza di numerosi falsi negativi e falsi positivi, ed il valore predittivo è limitato – soprattutto nel caso delle patologie poligeniche, ossia dovute all’interazione di più alterazioni genetiche. In queste circostanze è praticamente impossibile prevedere se la patologia insorgerà, ed eventualmente quando o con quale gravità. Il Gruppo mette in guardia contro i rischi del “determinismo genetico”, e sottolinea gli effetti dovuti ai fattori ambientali ed allo stile di vita.
Sul piano giuridico, a livello internazionale non esistono norme dedicate espressamente al tema dei test genetici sul luogo di lavoro; in particolare, non ci sono disposizioni che disciplinino le modalità di raccolta e trattamento dei dati genetici. Peraltro, in molti Paesi UE esistono norme nazionali che, ad esempio, vietano la discriminazione basata sui risultati di test genetici predittivi, oppure vietano del tutto l’esecuzione di test genetici sul luogo di lavoro (ai fini dell’assunzione o durante il rapporto di lavoro). Va ricordato, a questo proposito, che in Italia il trattamento di dati genetici è consentito solo con l’autorizzazione del Garante alle condizioni indicate in tale autorizzazione. Inoltre, è allo studio della Commissione una proposta di Direttiva che intende fornire un quadro armonizzato a livello europeo per tutelare i dati personali sul luogo di lavoro, secondo i principi della direttiva “madre” (95/46/CE).
Sul piano etico, il Gruppo distingue fra esecuzione dei test ed utilizzazione dei relativi risultati. Rispetto all’esecuzione di test di screening esiste l’esigenza di bilanciare l’autonomia del lavoratore (o del candidato all’impiego) con gli obblighi del datore di lavoro concernenti la tutela della propria forza-lavoro e di terzi. Il datore di lavoro è tenuto al rispetto di tali obblighi (anche per garantire la sicurezza dell’ambiente di lavoro), ma per valutare l’efficienza del lavorate sono sufficienti normalmente gli strumenti tradizionali (curriculum vitae, colloquio, test attitudinali, referenze, visita medica standard), senza contare che in genere è previsto un periodo di prova precedente l’assunzione definitiva, circostanza che costituisce un’ulteriore salvaguardia per il datore di lavoro. Inoltre, la ridotta predittività dei test genetici e la loro scarsa affidabilità non permettono di considerare equa una decisione importante – come quella di assumere o promuovere un dipendente – che si basi sui risultati di tali test. Inoltre, l’autonomia di cui parla il Gruppo si fonda in primo luogo sul consenso veramente informato del lavoratore, ed il Gruppo non manca di rilevare che in questo contesto la validità del consenso è dubbia essendo il lavoratore la parte “debole” del rapporto.
L’utilizzazione delle informazioni ricavate dai test pone, secondo gli esperti UE, due ordini di problemi: la necessità di mantenere riservate tali informazioni e di garantire il diritto del dipendente di non essere informato dei risultati in questione, da un lato, e, d’altro canto, il rischio che tali risultati siano utilizzati per finalità discriminatorie – ad esempio, impedendo la promozione e quindi compromettendo la carriera di uno specifico lavoratore.
Ecco, dunque, i punti salienti del parere formulato dai Garanti:
a) I lavoratori ed i candidati all’impiego devono considerare normale l’esecuzione di una visita medica per valutare l’attitudine ad una determinata attività; tuttavia, la visita medica non deve costituire un criterio di selezione, e deve essere effettuata dopo che la fase di selezione si è conclusa.
b) Lo screening genetico è un esame medico e riguarda la potenziale evoluzione dello stato di salute di una persona; nel contesto lavorativo, si deve tenere conto soltanto dello stato di salute corrente del lavoratore.
c) Il Gruppo ritiene inaccettabile sul piano etico ricorrere allo screening genetico nell’ambito di una visita medica, o comunicare i risultati di test genetici pregressi. I test genetici non sono necessari per garantire il rispetto degli obblighi e dei diritti legittimi del datore di lavoro in materia sanitaria, o per la valutazione attitudinale; pertanto, in linea di principio, i datori di lavoro non dovrebbero ricorrere a test genetici di screening né chiedere ai lavoratori di sottoporsi a test del genere.
d) Il ricorso ai test genetici di screening deve costituire un’eccezione, al fine di garantire la tutela della salute dei lavoratori o di terzi, e deve essere effettivamente necessario, deve fondarsi sulla provata validità scientifica del test, deve essere proporzionato alle finalità da raggiungere e non deve comportare alcuna discriminazione per i lavoratori coinvolti.
e) I casi eccezionali nei quali è ammissibile effettuare test genetici di screening sul luogo di lavoro devono essere specificati espressamente per legge, eventualmente prevedendo il coinvolgimento di organismi sindacali e di enti indipendenti di controllo.
f) E’ indispensabile il consenso informato del lavoratore o del candidato all’impiego, che deve avere la possibilità di ricorrere ad un consulente legale indipendente.
g) I dati genetici devono rimanere riservati come ogni altro dato sanitario; ogni comunicazione a terzi, compreso il datore di lavoro, è vietata senza il consenso dell’interessato. In particolare, i risultati di test di screening o di monitoraggio effettuati sul luogo di lavoro non devono essere comunicati a fini assicurativi.