Il primo rapporto sui fondi etici in Italia
In Italia (quasi) nessuno ne parla. Ma per l’investimento socialmente responsabile, negli Stati Uniti ed in Europa, è boom. Secondo l’ultimo rapporto del Social Investment Forum – l’Associazione che riunisce oltre 500 operatori statunitensi tra investitori istituzionali, fondi comuni, banche, analisti, fondazioni, società di gestione del risparmio, tutti rigorosamente orientati all’investimento “etico” – nel 2007 il comparto dei fondi socialmente responsabili ha raggiunto un patrimonio di 201,8 miliardi di dollari, con una crescita del 13% in due anni, contro il 3% registrato dall’industria del risparmio gestito nel suo complesso. Nello stesso periodo, il numero dei fondi che si ispirano, nelle strategie di gestione, ai principi della responsabilità sociale e ambientale è passato da 201 a 260.
In Europa, l’investimento “etico” cresce anche più rapidamente: l’ultima ricerca condotta da Vigeo, una delle più importanti agenzie di rating sociale ed ambientale a livello europeo, dice che le masse gestite hanno superato i 49 miliardi di euro, con un progresso del 43% nei primi mesi del 2007 rispetto all’anno precedente. Il mercato svizzero, in particolare, si delinea come uno dei più dinamici del vecchio continente: secondo uno studio di OnValues, società svizzera specializzata nelle attività di ricerca e consulenza, pubblicato a marzo, il mercato dell’investimento “sostenibile” ha ormai superato i 30 miliardi di franchi svizzeri, con un incremento del 67% tra il dicembre 2006 e la fine del 2007. Un dato particolarmente significativo se si considera che, nello stesso arco di tempo, il mercato dei fondi è cresciuto di un solo punto percentuale.
E in Italia? Secondo i dati pubblicati a gennaio da Assogestioni, il patrimonio totale investito in fondi etici ammonta a 1.637,6 milioni di euro. La raccolta, anche nel mese di gennaio, è stata negativa (per 66,9 milioni di euro); come, d’altra parte, lo è stata nei mesi precedenti. Ma se è vero che il settore dei fondi etici italiani – quelli che escludono determinati settori come l’industria delle armi o del tabacco e non investono in titoli di Stato di Paesi dove vige la pena di morte – risente della crisi che affligge il mercato dei fondi comuni, le responsabilità vanno ricercate anche altrove. A cominciare delle banche che, in Italia, rappresentano la principale rete distributiva di prodotti d’investimento. In molti casi, infatti, gli istituti di credito non si sono occupati di formare adeguatamente le proprie reti di promotori sui nuovi prodotti d’investimento e, quindi, anche sui prodotti etici. Un problema cruciale se si considera che, in Italia, la cultura finanziaria è piuttosto arretrata, al punto che molti risparmiatori non hanno mai sentito parlare di fondi d’investimento etici. Risultato: mentre gli istituti stranieri “cavalcavano” il business dei fondi etici, le nostre banche non hanno mai creduto fino in fondo al successo dell’investimento socialmente responsabile. E hanno preferito puntare su altri prodotti d’investimento (magari più remunerativi per le stesse banche).
Nonostante tutto, l’interesse dei risparmiatori nei confronti dell’investimento etico è continuato a crescere. E infatti, non mancano gli esempi di prodotti che fanno registrare una raccolta positiva, in netta controtendenza rispetto al comparto. Nel frattempo, alcune società di gestione del risparmio non sono state a guardare. A gennaio dello scorso anno, Etica Sgr (Gruppo Banca Popolare Etica ) ha lanciato un nuovo fondo etico, il prodotto azionario della linea Valori Responsabili. Nell’ottobre 2007, Aureo Gestioni ha fatto il restyling al suo fondo comune etico, che ha cambiato nome (da Aureo WWF Pianeta Terra in Aureo Finanza Etica) e politica d’investimento. E a breve, anche il Gruppo Intesa Sanpaolo metterà mano alla sua offerta di fondi etici. Ma quali sono le caratteristiche dei fondi socialmente responsabili disponibili per il risparmiatore italiano? L’Osservatorio finanza etica (www.osservatoriofinanzaetica.it) ha stilato il PRIMO RAPPORTO SUI FONDI ETICI IN ITALIA, analizzando 33 fondi (amministrati da 17 società di gestione del risparmio italiane ed estere), di cui 13 azionari, 13 obbligazionari, 6 fondi bilanciati ed un fondo flessibile.
NO ARIMI, NO TABACCO, NO ALCOOL…
I fondi d’investimento etici sono identici, in ogni aspetto finanziario, di regolamentazione e distribuzione ai fondi comuni d’investimento ordinari. Ciò che li contraddistingue è il processo di selezione dei titoli da inserire nel portafoglio: accanto ai tradizionali parametri di natura finanziaria, infatti, i fondi etici (o socialmente responsabili) investono il patrimonio gestito secondo criteri di eticità e responsabilità sociale. Questi si dividono in criteri negativi – che riguardano, in genere, i settori produttivi esclusi dall’universo investibile del fondo – e positivi. Partiamo dai primi.
Su 33 fondi d’investimento etici disponibili nel mercato italiano, 26 non investono in titoli di società che producono o commercializzano armi, mentre sono 25 (pari al 75,7%) i prodotti che escludono l’industria del tabacco dall’universo investibile del fondo. Il risparmiatore, inoltre, ha la possibilità di scegliere un’ampia gamma di prodotti d’investimento che non ammettono nel proprio paniere titoli di società attive nei settori del gioco d’azzardo (20 fondi su 33), nell’industria dell’alcool (18), della pornografia (20) e dell’ingegneria genetica (14 fondi su 33). Per la gioia di tutti gli animalisti italiani (e non solo), ci sono anche sei fondi etici che escludono le società che forniscono servizi di test sugli animali, mentre due fondi si limitano ad escludere i test non medici (quelli, ad esempio, realizzati per conto dell’industria cosmetica) ed altri 6 prodotti d’investimento scartano i titoli di società che operano nell’industria della pelliccia. Solo il 9% dei fondi etici italiani esclude società che producono pesticidi o altri prodotti inquinanti, mentre una percentuale doppia (18,2%) non ammette società coinvolte nella raccolta, trasformazione, o commercializzazione di legname proveniente da foreste protette.
I criteri negativi adottati dalle società di gestione nella selezione del portafoglio titoli non riguardano solo le imprese operanti in determinati settori merceologici ma anche gli Stati che adottano comportamenti ritenuti non socialmente responsabili. Per esempio, in alcuni casi, vengono esclusi i titoli di Stato di Paesi che violano sistematicamente i diritti civili e politici (nel 36,4% dei fondi) o i diritti umani (9%), oppure sono coinvolti in operazioni militari condotte senza l’autorizzazione di organizzazioni sopranazionali (18% dei fondi etici disponibili per il risparmiatore italiano). Sono 7, invece, (pari al 21,2%) i fondi etici che non ammettono, all’interno del proprio paniere, i titoli di debito pubblico di Paesi in cui è presente o viene applicata la pena di morte.
SÌ ENERGIA DA FONTI RINNOVABILE, TUTELA DELLA SUALTE E DELLA ICUREZZA SUL LUOGO DEL LAVORO…
Se i criteri negativi giocano un ruolo fondamentale nella fase di screening che porta alla costruzione dei fondi d’investimento etici, i criteri positivi sono altrettanto importanti: permettono, infatti, di selezionare imprese o Stati che, per la caratteristiche di impegno nella tutela del capitale ambientale, sociale ed umano con cui vengono a contatto, sono ritenuti “socialmente responsabili”. La responsabilità sociale rappresenta uno strumento aggiuntivo, nelle mani delle società di gestione del risparmio, per effettuare previsioni più attendibili sulla performance finanziaria di lungo termine: l’idea, avvalorata da alcuni studi recenti, è che vi sia una correlazione positiva tra l’adozione di criteri di responsabilità sociale da parte di un’impresa, la sostenibilità/solidità della sua attività, e, quindi, la sua performance finanziaria.
I criteri positivi (o di inclusione) possono essere distinti i tre ambiti: ambientale, sociale e di governance. Le società di gestione del risparmio che adottano criteri positivi di tipo ambientale nella selezione dei titoli da inserire in portafoglio, privilegiano imprese sensibili all’impatto ambientale dei propri prodotti e processi produttivi (il 78,8% dei fondi etici italiani è soggetta ad un’attività di screening di questo tipo). Alcuni gestori privilegiano, inoltre, le società che producono o utilizzano energie rinnovabili (18,2 % dei fondi etici) o quelle che riducono le emissioni inquinanti (15,1%) o i consumi di energia elettrica (18,2%).
I criteri di inclusione in ambito sociale, per contro, identificano comportamenti meritevoli da parte di imprese e Stati in tema di rispetto dei diritti umani, dei minori e dei lavoratori, tutela della salute e della sicurezza sociale, impegno a favore dell’inclusione sociale delle categorie svantaggiate e del dialogo con le comunità ed i gruppi di interesse, ad ogni livello. Venendo al contesto italiano, sono diciotto (pari al 54,6% del totale) i fondi etici che incorporano il principio “tutela della salute e della sicurezza sul luogo di lavoro“, 14 (42,4%) quelli che investono in imprese che testimoniano un rapporto positivo con le comunità locali, 10 (il 30,3%) i fondi etici che, nella selezione del portafoglio titoli, attribuiscono un valore prioritario al rispetto dei diritti umani e dei lavoratori.
Infine, ci sono i criteri positivi che attengono alla governance aziendale: in questo caso, l’attività di screening attuata dal gestore o dal suo advisor (consulente) tende a prediligere imprese che adottano criteri di trasparenza nell’amministrazione finanziaria e nella remunerazione del manager (in Italia, 8 fondi su 33), mantengono un rapporto positivo con gli azionisti (11 su 33), non vengono coinvolte in episodi di corruzione (10 su 33) o, ancora, organizzano il Consiglio di Amministrazione secondo criteri ritenuti socialmente responsabili (6 fondi su 33): per esempio, la separazione del ruolo di presidente da quello di direttore generale oppure la presenza di membri indipendenti nel Consiglio.
Per quanto concerne i titoli di Stato inclusi nel paniere dei fondi etici, i criteri di inclusione di tipo ambientale riguardano, ad esempio, l’eventuale ratifica del Protocollo di Kyoto (6 fondi etici); quelli di tipo sociale prendono in considerazione parametri quali l’entità della spesa pubblica per istruzione e sanità (21,2% dei fondi etici), il tasso di mortalità infantile o la rilevanza del lavoro minorile nel Paese (12,1%) o, ancora, il rispetto dei diritti umani e dei lavoratori (33,3%). Infine, a proposito della governance, i criteri adottati hanno a che fare con il rispetto dei diritti civili e politici senza pregiudizi di tipo razziale, etnico, religioso e la “qualità” della democrazia (4 su 33), l’entità delle spese militari in relazione al PIL (12,1% del totale), l’impegno nella salvaguardia e nella promozione della pace attraverso il dialogo e l’intervento a sostegno di Paesi non sviluppati, di quelli colpiti da guerre o catastrofi naturali e delle popolazioni del terzo mondo, o il livello si stabilità politica nel Paese (4 fondi su 33).
Dalla home page dell’Osservatorio finanza etica, attraverso un motore di ricerca che interroga il data base contenente le informazioni su tutti i fondi etici italiani, il risparmiatore può scegliere i criteri di esclusione e di inclusione che corrispondono alla sua personale concezione di “eticità” e verificare quali prodotti d’investimento etico corrispondono alle caratteristiche selezionate.
ETICO È TRASPARENTE
Il collasso finanziario internazionale innescato dalla crisi dei mutui subprime americani non si comprende se si tralascia un elemento essenziale della vicenda. Una volta cartolarizzati ed “impacchettati” in titoli di debito, i mutui americani ad alto rischio sono stati venduti ad investitori istituzionali che, a loro volta, li hanno “inscatolati” in prodotti finanziari sempre più complessi. Risultato: quei titoli, una volta finiti nei mercati finanziari sono stati acquistati, ad esempio sotto forma di quote di fondi comuni d’investimento, anche dai singoli risparmiatori. Inconsapevoli, almeno quanto i banchieri che avevano acquistavano il “pacchetto” affidandosi al giudizio delle agenzie di rating internazionali, ma senza sapere esattamente cosa ci fosse dentro. La totale mancanza di trasparenza in tutto il sistema è una delle chiavi per comprendere le ragioni e la gravità della crisi che la finanza internazionale sta attraversando.
L’investimento etico, in un certo senso, rappresenta uno dei possibili antidoti, perché incorpora un fondamentale elemento di trasparenza: relative alle procedure adottate nella selezione dei titoli che compongono un certo fondo etico; ai criteri di inclusione ed esclusione assunti nella definizione dell’universo investibile; infine, alla composizione del comitato etico: l’organo che “vigila” affinché venga mantenuto uno stile di gestione orientato ai principi di eticità e responsabilità sociale. Trasparenza significa, in fin dei conti, dare all’investitore socialmente responsabile la possibilità di decidere se un determinato fondo etico risponde o meno alla propria personale concezione di eticità.
Per rendere i fondi etici più trasparenti nei confronti dei risparmiatori, Eurosif (Eiuropean Social Investment Forum) – un network pan-europeo no-profit che sostiene la crescita delle pratiche di investimento socialmente responsabile – promuove l’adesione da parte delle Società di gestione del risparmio alle linee guida europee sulla trasparenza dei fondi socialmente responsabili, basate sulle migliori pratiche correnti. Tra le società di gestione del risparmio che propongono fondi etici, attualmente sono 11 (su 17, pari al 64,7%) quelle che hanno aderito alle linee guida Eurosif.
COMITATO ETICO
Il comitato etico di una società di gestione che investe in fondi d’investimento etico, è l’organo che, con funzioni consultive e di indirizzo, definisce criteri di eticità e linee guida che la società di gestione deve adottare nell’amministrare uno o più fondi d’investimento etici. Sono 10, pari al 58,8% del totale, le società di gestione del risparmio che si avvalgono di un comitato etico.
AZIONARIATO ATTIVO
Al fine di monitorare la condotta delle società nelle quali il fondo etico investe, e quindi condizionarne il comportamento in funzione dei criteri di responsabilità sociale, alcune società di gestione del risparmio adottano politiche di azionariato attivo (o engagement). Queste possono assumere la forma di semplici contatti con i vertici dell’ azienda, attraverso cui la società di gestione si limita a richiedere maggiori informazioni, cercando un confronto diretto sulle questioni che attengono al profilo socio-ambientale dell’azienda. In altri casi, la società di gestione del risparmio che ha acquistato i titoli di una società quotata, può esercitare il diritto di voto in sede di assemblea degli azionisti: proponendo mozioni e sottoponendo ai vertici aziendali determinate questioni, affinché la società si conformi ai criteri ambientali, sociali e di governance che la Società di gestione del risparmio adotta nella selezione ed amministrazione del portafoglio titoli.
La prima azione di engagement della storia prese forma nel lontano 1971 quando, durante l’assemblea degli azionisti della General Motors, la ICCR (Interfaith Center on Corporate Responsability, leggi) presentò una mozione, chiedendo che la multinazionale si ritirasse dal Sudafrica (dove, in quel momento, vigeva ancora la segregazione razziale). Da quel momento, l’azionariato attivo ha assunto forme e strategie sempre più raffinate e si è diffuso ampiamente tra gli investitori socialmente responsabili degli Stati Uniti e dell’Europa.
In Italia, solo 4 società di gestione del risparmio su 17 adottano politiche di azionariato attivo. Tra le ultime azioni, si possono ricordare quelle di Etica Sgr (Gruppo Banca Popolare Etica) nei confronti di Vodafone, Indesit, Sabaf, Swisscom ed Eli Lilly, quelle di BNP Paribas Asset Management (che gestisce il fondo BNL per Telethon) “contro” Lufthansa ed ENI, e di Aviva Morley Fund Management in relazione all’attività di First Group, Misys, GSK.
QUANTO RENDONO
Non è detto che i fondi etici siano meno performanti rispetto ai fondi comuni tradizionali. Anzi, studi recenti – l’ultimo dei quali pubblicato dalla prestigiosa Oxford Univerity, dicono che possono perforare meglio rispetto ai fondi non socialmente responsabili. Per quanto riguarda il campione preso in esame dall’ Osservatorio finanza etica, comprendente tutti i fondi d’investimento etico disponibili per il risparmiatore italiano, la performance ad un anno è stata negativa (- 6,75%), anche a causa dell’andamento del comparto azionario, che ha ridotto il guadagno ottenuto sul mercato obbligazionario.
Torna il segno più se guardiamo, invece, alle performance a 3 e 5 anni: i valori medi, in questo caso, si attestano rispettivamente a quota 5,23% e 13,7%.
A questo proposito, è importante sottolineare un dato: l’orizzonte temporale coerente con l’investimento socialmente responsabile è, tendenzialmente, di medio-lungo termine, quindi più ampio rispetto a quello considerato per gli investimenti di carattere speculativo. Ed è proprio sul medio-lungo termine che i fondi etici possono dare rendimenti migliori. Ecco perché, quando si valuta l’opportunità di un investimento etico, è consigliabile considerare un arco temporale ampio, ad esempio di 3 o 5 anni