Rischio Biologico, o Contagio Biologico, in Ambienti di Lavoro
In questo articolo andiamo a capire il concetto di rischio biologico, o contagio biologico: cos’è, come funziona e che rischi ci sono.
Vedremo la classificazione dei microrganismi trasmissibili, i metodi di valutazione del rischio e del pericolo associati a questi agenti, capiremo anche come controllare il rischio biologico è essenziale per sviluppare strategie di prevenzione efficaci che possano andare a protezione degli ambienti lavorativi.
I microrganismi trasmissibili sono classificati, sulla base dei criteri proposti dal D.Lgs. 626/94, in quattro classi di pericolosità.
Nelle situazioni dove é previsto un uso deliberato di questi agenti biologici è logico, opportuno e necessario, adottare a priori una serie di misure tecniche preventive e di contenimento, prescindendo – di fatto – dalla valutazione della reale entità del rischio e del pericolo; l’adozione di tali norme nelle altre attività presenta serie difficoltà poiché incerta é l’entità del rischio che l’esposizione potenziale comporta.
In questi casi il termine potenziale comprende l’eventualità di un possibile contagio, la cui occorrenza però è remota o non ben definibile in termini quantitativi.
É noto come la valutazione del rischio sia, in generale, costituita da due momenti:
- la valutazione del pericolo
- la valutazione del danno.
La stima della pericolosità e della dannosità degli agenti biologici presenti appare però di non semplice esecuzione, poiché resa difficile da una serie di limiti conoscitivi.
Molti dei concetti e delle metodologie ormai consolidate dall’Igiene Industriale per la valutazione dell’esposizione, ad esempio a sostanze chimiche, non sono infatti immediatamente trasferibili ai microrganismi:
- la varietà e l’ubiquitarietà delle specie batteriche e virali aerodisperse rendono il monitoraggio ambientale problematico. Risulta complicato quindi misurare i microrganismi aerodispersi con la stessa affidabilità con cui vengono ad esempio misurati gas e vapori di sostanze chimiche
- altrettanto difficoltoso é l’utilizzo del monitoraggio biologico nella valutazione dell’avvenuto contagio da microrganismi, poichè risulta molto articolata la risposta adattativa o immunitaria dell’organismo umano ospite
- non sono disponibili inoltre sicure relazioni dose-risposta (in termini di entità del contagio-infettività) per nessuno dei microrganismi di maggior interesse patologico o di larga trasmissibilità.
La mancanza di questa conoscenza non permette in buona sostanza:
- di definire delle dosi (sul modello dei TLV-TWA per le sostanze chimiche) che abbiano funzione di soglia per discriminare tra condizioni di presenza o assenza di rischio, o meglio, tra situazioni con grado di controllo accettabile o non accettabile
- di conoscere con buona approssimazione, ad una certa entità di esposizione (contagio), qual è la frequenza di danno atteso nel gruppo di soggetti esposti
Tuttavia, nonostante questi limiti, la stima del rischio risulta comunque essenziale e deve ricondursi a categorie conoscitive logiche e concretamente applicabili.
La “pericolosità biologica” di un ambiente di lavoro o di una specifica attività per un gruppo di soggetti é rappresentata:
- dall’esposizione al pericolo (in termini di intensità e durata)
- dalla frequenza o proporzione di soggetti che risultano operare in determinate condizioni espositive.
La scelta dei metodi di monitoraggio e degli indicatori di esposizione deve tenere conto:
- delle vie di esposizione,
- della possibilità di una misura diretta o indiretta della contaminazione ambienta
- dell’avvenuto contagio a seguito dell’evento espositivo.
In questi termini ad esempio la sieroconversione o il riscontro della malattia, possono essere utilizzate quali indicatori di avvenuta esposizione e sono da considerare approcci elettivi nei casi in cui la misura ambientale della contaminazione (aerodispersa o delle superfici) risulti difficile o dove la via di contagio sia prevalentemente parenterale.
La valenza a fini preventivi della rilevazione degli eventi accidentali o degli infortuni che comportano il possibile contagio con agenti biologici dotati di potenzialità infettiva, anche se effettuate a posteriori, risultano l’unica strategia perseguibile laddove il pericolo di contagio (esposizione) non sia presente come condizione intrinseca nel ciclo produttivo o nell’attività svolta, ma nasca come evento accidentale, più o meno scarsamente prevedibile e spesso legato, oltre che alle caratteristiche del lavoro, anche alle caratteristiche individuali e alle attitudini lavorative del singolo.
In questo caso la pericolosità e la dannosità di un certo ambiente di lavoro o di una singola attività lavorativa forniscono delle stime di rischio per eventi o situazioni già verificatisi ed il rischio viene detto rischio osservato: osservato per distinguerlo dalla situazione opposta di rischio atteso in cui il pericolo, pur presente al momento della valutazione, non é abbinato al danno, ma la cui comparsa é attesa in un tempo successivo.
É complicato effettuare stime di rischio atteso, poiché diventa difficile misurare l’entità dell’esposizione ed é quasi impossibile stimare quale sarà il reale danno ad esse associato.
Il rischio osservato, quindi, va necessariamente calcolato stimando la pericolosità e la dannosità già manifestatesi, osservate con accurati programmi:
- di monitoraggio degli eventi accidentali e degli infortuni a rischio
- di sorveglianza dello stato di salute della popolazione esposta.
Questo perché, nella pratica corrente, gli agenti biologici presenti non sono tali da generare un’alta frequenza di danno, pure a fronte di un’alta frequenza di situazioni di pericolo.
Spesso, anche se solo per fini preventivi, é utile assumere che il contagio sia molto pericoloso: così, ad esempio, la puntura con un ago sicuramente infetto viene considerata come se fosse un evento portatore di malattia certa.
L’esperienza invece indica che le sieroconversioni o la comparsa di malattia raggiungono proporzioni sempre inferiori all’unità (percentuali di sieroconversione variabili dal 15 al 30% per l’epatite B, dal 3 al 15% per l’epatite C, 0,5% per l’HIV).
Analogamente può essere utile approssimare all’unità anche la frequenza del pericolo: é questo il caso, ad esempio, in cui ogni evento infortunistico che comporta la puntura con ago o la ferita con materiale tagliente viene considerato un evento infettante cui consegue una infezione certa.
Va però sottolineato che mentre queste valutazioni precauzionali delle condizioni di rischio risultano giustificate in situazioni di lavoro particolari, possono risultare eccessive se applicate alla normale realtà almeno fintanto che la prevalenza delle malattie trasmissibili rimanga agli attuali valori e non mostri macroscopici incrementi di incidenza.
Infine é da ricordare che, nell’ottica della riduzione ed abbattimento del rischio biologico, per molti agenti biologici l’esistenza di una profilassi vaccinale rappresenta un intervento di protezione efficace.
La valutazione dei rischi specifici e fisici è un processo essenziale che permette alle aziende di identificare, analizzare e gestire proattivamente i rischi legati alla sicurezza sul lavoro, dalla esposizione a sostanze nocive fino ai pericoli legati all’ambiente fisico di lavoro. Questo approccio mira a prevenire incidenti e garantire il benessere dei lavoratori.